Agosto e i murales dell’Ortica

Era tanto che volevo passare di qua ma ho sempre rimandato. La bici, mia compagna di viaggi, ha una gomma bucata, e tra gli incastri devo trovare il tempo di ripararla. In più il caldo delle settimane precedenti mi atterriva un po’.

Oggi però era il giorno giusto. Ero sola in ufficio, desolante tranquillità. Ho macinato lavori arretrati, un caffè ogni tanto, pausa pranzo davanti al pc a sognare paesi sperduti in cui andrò. In Italia.

Uscita mi sono diretta qui, con la mia macchina che tutti snobbano ma che è mia, e prima era di mio papà. Mi porta dovunque, non mi lascia mai. È piccola e un po’ lasciata andare ma non la abbandono.

Arrivo a Ortica che quasi piove ma non m’importa. Parcheggio e vado.

Or.Me è un museo permanente a cielo aperto che si snoda tra le case, i muri, le botteghe e le scuole dell’Ortica. Le opere vanno cercate, e la bellezza è che sono realizzate insieme agli abitanti del quartiere, che vive e pulsa, uno di quei luoghi della Milano vera, come piace a me.

Si parte da via Giovanni Amedeo, con questi due murales in cui sono ritratti il ferroviere partigiano Luigi Morandi e il Vescovo vicario Marco Virgilio Ferrari, due figure di spicco del quartiere che hanno lottato negli anni bui del fascismo.

Si prosegue nel sottopasso della ferrovia fino ad arrivare in via via San Faustino, dove al civico 5, sulla parete della storica Cooperativa Edificatrice Ortica, si trova il murale della cooperazione: Gesù Cristo, Carlo Marx e un gruppo di pionieri sostengono insieme il pensiero secondo cui la cooperazione di tutti è per il bene di ognuno.

Proseguendo prima del cavalcavia si vedono due murales coloratissimi, che non possono non colpire. Sono i murales della legalità e della musica popolare. Si vedono da una parte personaggi come Giorgio Ambrosoli e Walter TobagI, dall’altra autori storici per la tradizione popolare italiana, come Ornella Vanoni, Dario Fo e Giorgio Gaber.

Il sottopasso tra via San Faustino e via Rosso di San Secondo è dipinto con ritratti di bambini del murale HUMAN, in stile espressionismo silenzioso. L’opera è dedicata alle migrazioni, “a chi è emigrato, a chi migra, a chi migrerà”, e ci ricorda che “siamo tutti umani. L’impatto e’ duro e potente. I bambini hanno i colori del mare, del cielo, della vita, del sangue.

Proseguo e inizia a piovere ma non voglio rinunciare a questo giro con il cielo grigio che mi avvolge. In via Trentacoste, sui muri dell’ITIS Pasolini mi appare davanti il murale dedicato alle donne che hanno fatto grande il Novecento. Da Alda Merini a Liliana Segre, mi sembra bellissima una foto davanti a loro.

In fondo alla via giro a destra e vedo il progetto dei murales sul Duomo. Ecco Via Pitteri. Siamo in periferia ma l’idea è portare la madonnina e il Duomo anche qui. Davanti all’outlet di Martino Midali, mi viene in mente la mia amica Vale che sceglieva con noi il suo vestito da sposa. 9 Anni fa.

Proseguendo sul cavalcavia Buccari, scorrono le parole di libertà, altri murales nel buio del sottopasso, sanno di guerra e di partigiani, la luce bassa li rende ancora più belli, spiccano i colori nel cielo plumbeo e autunnale.

Cammino guardandomi intorno, altri murales mi fanno sentire piccola e lontana, Orgosolo riaffiora alla mente, quel paese bellissimo che sa di voci e di libertà.

Questo è il murale dedicato al lavoro e al movimento dei lavoratori, che rappresenta le lotte operaie del Novecento e le fabbriche del quartiere, come la Innocenti, raffigurata con una leggendaria Lambretta. Poco più avanti vedo un murale vivace e coloratissimo, dedicato agli orti e alle origini agricole del quartiere.

E’ tardi, ho la spesa nella macchina con l’idea di polpette e cipolle per tutta la famiglia. Mi perdo al ritorno e finisco quasi a Segrate, sullo sfondo le parole di Grace Anatomy che ascolto e mi tiene compagnia.

Ritornerò, magari a pranzo, in una trattoria che so piacerà ai miei amici, i nostri amici, con cui venerdi iniziamo le nostre vacanze.

Finalmente.

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Dalla stazione centrale alla Maggiolina, e ritorno da Gae Aulenti

Un venerdì mattina, il cielo azzurro a Milano quando c’è è inebriante. Un azzurro che acceca e cancella, e rende tutto possibile.

Era una giornata così quel venerdì, e avevo tante ore davanti, un giorno di ferie tutto per me.

Parto da casa, rimuovo i pensieri e provo a ricacciarli lontano, li affondo sotto uno strato di terra scura e di fango, libero la mente, pedalo.

Guardo le case, le strade, i cortili come questo.

Milano scorre veloce, ho appuntamento per pranzo con la “mia” Valentina davanti al suo ufficio, zona stazione centrale.

Ho un po’ di tempo, scelgo di fermarmi davanti alla piazza, la prospettiva è quasi solenne davanti a quest’edificio fascista che quasi acceca.

Decido di entrare. Non vado alla stazione da prima del Covid, mi sembra quasi troppo pensare che qualcuno torni a prendere i treni per viaggiare, sono inebriata dalla gente con valige e biglietti alla mano, la tentazione di salire su un treno mi cattura per un momento.

Alla stazione mi fermo a cercare Mussolini con il volto cancellato. All’altezza del binario 20 c’è un dipinto di Basilio Cascella che ritrae l’incontro tra Mussolini e il re Vittorio Emanuele III dopo la marcia su Roma. Il volto del duce è stato cancellato. Secondo la leggenda, il 25 aprile 1945, quando oramai era avvenuta la liberazione, un gruppo di persone ha preso a sassate il dipinto fino a cancellare il volto di Mussolini. E chi l’aveva mai visto fino ad ora?

Proseguo e giro per la stazione, scopro i mosaici che raffigurano le città, Milano, Roma, Torino. Non avevo mai notato neanche quelli, mi metto in punta di piedi per guardarli.

Esco sotto il sole cocente delle 13 e recupero Valentina per un pranzo alla biblioteca degli alberi. Le nostre chiacchiere si confondono con i fiori e i sorrisi delle persone a fianco. Milano sa essere bellissima quando hai voglia di scoprirla, e regala una gioia profonda agli angoli delle strade.

Il pomeriggio lo dedico a un giro alla Maggiolina, un quartiere in cui non vado da tantissimo tempo, e che per me rappresenta la mia infanzia, i miei zii, che un tempo abitavano li.

Eccolo in palazzo di via Gino Rocca, ricordo mia zia che conosceva tutti, mio cugino, bellissimo, che tornava dopo le scorribande con gli amici. Un tuffo al cuore. Indugio e poi proseguo il mio giro.

Piazza Carbonari mi ricorda mio papà, che mi parlava di una villa di uno dei suoi amici misteriosi che gravitavano a casa nostra o nei suoi racconti strampalati.

Arrivo a Villa Mirabello e mi rendo conto di non averla proprio mai vista. Eppure un tempo questa splendida proprietà era la dimora di villeggiatura di molte famiglie nobiliari vicine agli Sforza.

Proseguo e vado a cercare le case igloo, anche queste mai viste in tutta la mia vita, nonostante alla Maggiolina da piccola ci sia andata tante e tantissime volte.

Nel 1964 Mario Cavallè costruisce 12 case igloo-, ispirandosi al modello statunitense di casa circolare. Ogni casa, delle 8 rimaste, è di circa 50 mq su due livelli. Oggi le case igloo di proprietà privata; solo 2 sono rimaste tali e quali, tutte le altre hanno subito interventi di ristrutturazione e non rimane nulla del progetto iniziale.

Concludo la giornata ripassando da Gae Aulenti, e proprio pedalando in giro vedo affacciata fuori dal suo ristorante Lucia, che mi sorride. Avevo in mente proprio di passare a trovarla, il pitbeef è uno spettacolo, il cortile interno è un vero gioiello che Lucia mi permette di scoprire.

Con il cuore pieno di colori, mi giro verso la piazza e torno verso casa.

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Pausa al mare culturale urbano

Esterno mare culturale urbano

Ore 15, Milano, partita in fondo a via Novara, dopo tanto tempo si torna a tifare, a passare qualche ora lieve con le amiche a bordo campo. Si’, le amiche a bordo campo.

C’è un sole che sa di spiagge e di sabbia, di salsedine e serate all’aperto, un sole che sa di estate e di nuova rinascita. Cammino sull’asfalto arroventato, è presto, manca più di mezz’ora alla partita.

Prendo un libro che ho in macchina e cammino, cerco un posto in cui leggere un po’ da sola.

Cammino.

Mi ritrovo al mare culturale urbano, Qui, un posto che amo da quando ha aperto, una bella iniziativa milanese in cui passare qualche ora piacevole.

Mare culturale urbano

Il mare culturale urbano ha un ristorante, un mercato agricolo il sabato mattina, spettacoli all’aperto, ma è anche un centro di aggregazione, una comunità per minori, ha corsi di musica e molto altro ancora.

Passeggiando fuori dalla cascina, c’è silenzio ma anche voci di famiglie che pranzano sul terrazzo, bambini che ridono, un bar con due ragazzi che chiacchierano e mi salutano con lo sguardo. Ci sono piccoli giardini con sedie a dondolo e fiori colorati, c’è una strana immobilità dei dopo pranzo passati a riposare.

Continuo a camminare piano, poi arrivo in un giardinetto, due ragazzine giocano a lanciarsi l’acqua dalla fontanella, vedo una panchina bellissima, e mi siedo proprio li.

Inizia l’estate.

Inizia anche la mia partita.

Dopo mezz’ora di belle pagine, ritorno sui miei passi e vado.

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Corvetto, via Barabino e l’impiccato

Scuola elementare di Via BARABINO

E’ una giornata così, quando sentì la primavera che scoppia, il sole accecante che a Milano è un pugno di colore che ti trafigge nel cuore. Il caldo ti entra nelle viscere e porta all’eccesso ogni sentimento.

A me succede sempre a maggio, quando sto bene sto benissimo e quando sto male affondo nel pianto e nelle emozioni.

Mi piace girovagare per i quartieri, ancora di più quelli poco conosciuti, all’apparenza anonimi, ma solo all’apparenza. Quando sono in ufficio a pranzo esco con un mucchio di puntarelle in un sacchetto, le sgranocchio mentre vago in bici senza meta.

Oggi mi sono diretta qui, a un passo da dove lavoro, vicino al ponte di Corvetto in cui alzando lo sguardo si vede la tangenziale. Cercavo quella scuola, e l’ho trovata.

La storia della scuola di via Barabino è bella e non può lasciare indifferenti.

dintorni di piazzale Corvetto

In realtà la zona ha una sua poesia per me, si intravedono con l’occhio giusto palazzi interessanti, racchiudono storie che si possono intuire, leggere, immaginare. Qui negli anni cinquanta si pensó di fare un regalo ai bambini della zona, molti dei quali non potevano permettersi una vacanza. Nel giardino della scuola venne realizzato un piccolo villaggio di montagna in miniatura: cinque o sei casette, una chiesa, una fattoria, un piccolo laghetto, un ponticello, una voliera. Le casette erano colorate con affreschi e vetrate, e tetti a tegole.

Col tempo le intemperie rovinarono un po’ la scuola, nessuno se ne prese cura, oggi il giardino è solo l’ombra di quello che fu un tempo, ma l’idea è bella e volevo almeno da fuori rimirare l’edificio che ospitò questo giardino delle meraviglie.

Proseguendo si apre corso Lodi con i suoi giovani platani, piantati negli anni settanta per regalare una nuova vita al viale.

Sembra una lunga via come le altre, a pranzo sulle panchine si trova di tutto, giovani, bambini, impiegati in pausa pranzo, donne accecate dal sole che si siedono a riposare. La via è un ricordo di ciò che fu un tempo, qui venivano seppelliti i cadaveri di briganti e farabutti, la cui pena era l’impiccagione. Gli impiccati venivano lasciati in bellavista per giorni, affinché tutti potessero vedere le conseguenze dei comportamenti oltraggiosi. Questi luoghi dunque erano una grande fossa comune, finché Milano non si ingrandì e ora questa è una tranquilla zona non lontano dal centro, in cui girovagare può essere alquanto piacevole.

Quando la città cambió, vennero piantati nuovi alberi che diedero alla via una nuova veste, alberi che crebbero sani e affusolati, eretti verso il cielo.

A parte uno.

All’altezza del civico 75 c’è un albero diverso dagli altri, un albero un po’ storto, cresciuto in sordina con uno sguardo quasi di sofferenza, come se in esso vi fosse il ricordo di uno degli uomini impiccati dei tempi lontani. Magari è solo una leggenda, ma a sentire bene, si può udire ancora uno di quei lamenti strazianti …

O forse è solo fantasia …

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Dal quartiere operaio di via Lincoln alla casa delle fiabe in via Avogadro

Via Abramo Lincoln
Via Avogadro angolo via Faraday

Se c’è una cosa bella di quest’anno così diverso da tutti i precedenti, è aver riscoperto la bellezza delle scorribande in bici, in solitaria. Era un’abitudine che avevo molto tempo fa, quando uscivo dall’università con i libri in mano e mi perdevo nella mia città, allora, peraltro, molto meno vivibile.

Con gli anni e i bambini piccoli avevo perso l’uso quotidiano della bici per le traversate lente, anche al solo scopo di scoprire la città nei suoi dettagli. Al lavoro andavo con i mezzi, mi sedevo all’inizio, aprivo un libro, lo chiudevo alla fine del percorso ed entravo a lavorare.

A maggio dell’anno scorso, quando la città (come l’Italia) ha aperto i battenti credendo di essersi lasciata alle spalle il virus che ci ha messo ko, mi sono comprata una nuova bici, una cosa da poco, usata, ma carina.

Mi sono affacciata guardinga ala nuova vita e sono andata avanti. La bici non l’ho mai abbandonata, per tutto l’inverno. Ora mi godo il sole e i fiori della città.

Il venerdì, quando esco dal lavoro, non ho fretta. So che a casa i ragazzi sono fuori con amici, posso rientrare in tranquillità e mi prendo queste ore per recuperare lentezza e scoperta.

Settimana scorsa mi sono concessa due piccole perle detta città. Incredibile come non fossi mai stata in via Lincoln in quarantasette anni di vita qui.

La storia di questo quartiere inizia nel 1889, quando un gruppo di amici, che sognavano di vivere in villette a loro misura in un quartiere tranquillo a prezzi accessibili, danno vita al progetto del “quartiere giardino”.

Nasce così una cooperativa operaia che progetta di ingrandire il progetto in tutta l’area di Porta Vittoria, edificando un’intera area di graziose e piccole villette.

Nel corso degli anni, gli abitanti hanno iniziato a personalizzare il quartiere, colorando le loro case in tonalità accese e brillanti, ognuno secondo la sua personalità. Nasce il cd quartiere giardino.

L’arrivo delle due guerre mondiali stravolge questo piano e il quartiere resta confinato in via Lincoln; oggi, passando, questa via resta un piccolo gioiello, a pochi passi da centro di Milano. Un’oasi di pace che sembra ricordare Londra e Notting Hill, o Venezia e il sogno dei colori di Burano.

Prendere la bici è un attimo, attraversare la città ascoltando Madame Bovary (si, Madame Bovary), e arrivare vicino a casa alle sette di sera. Il ponte che da Giambellino arriva a Santa Rita è rumoroso e trafficato, macchine sfrecciano strombazzando, semafori si allineano come soldati, il campo di calcio del’Iris è proprio lì, in ricordo di partite giocate. Girato l’angolo si scopre una piccola via nascosta, anch’essa di villette dalle persiane colorate e di giardini segreti: Via Avogadro.

La prima casa è quella che amo di più, nascosta, con le finestre azzurre, un giardino rigoglioso invisibile, panni stesi alle finestre, un gatto che mi guarda silenzioso e una bici che attende nuove scoperte. Chissà chi abiterà in questo regno colorato e magico, mi chiedo.

Chissà.

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San Marco, San Marchetto e San Marcaccio

Sabato mattina. La settimana è stata tra le più pesanti, nonostante all’apparenza possa sembrare il contrario. L’anima stanca inizia a risentire di tutto, si crogiola e si abbandona alle emozioni negative, va in fondo e poi lentamente risale.

Aspetto il sabato mattina per le mie ore defatiganti, camminate lunghe in mezzo al silenzio, profumo di fiori, di animali, di rane che gracidano vicino.

La strada del riso riserva sorprese nascoste allo sguardo, è bello abbandonarsi alla scoperta, oggi deviamo dal solito percorso e ci inoltriamo verso San Marco, San Marchetto e San Marcaccio.

San Marcaccio è ormai un edificio pericolante e abbandonato, mi fermo e faccio un respiro profondo, vorrei avvicinarmi ma la strada è sbarrata dal pericolo di crollo. Ce la siamo persa e ciò che resta non è più accessibile.

San Marco è una cascina che si apre all’improvviso, intravediamo dei bambini che giocano all’interno e guardano le mucche che si affacciano per farsi osservare. La cascina, scopriamo poi, ha un servizio rivolto alla riabilitazione delle persone con problemi di dipendenza da sostanze. È semplice ma ha una Madonna bellissima davanti, la Madonna delle risaie, opera del 2016 dei pittori Katherine J. Bottellini e Gianluca Cosmo.

Proseguiamo, e come per magia, eccola…

Si staglia nel nulla la piccola Chiesetta di San Marco in Bosco, nota come Chiesa di San Marchetto. E’ solitaria, bianca, bellissima, da quanto si sa esisteva già nel 1280/90. E’ una chiesa devozionale, la cui costruzione si vuole legata al ritrovamento di un crocifisso in legno che ancora si conserva nella Chiesa. Si narra che durante l’aratura di un campo, i giumenti si fossero rifiutati di procedere, restii ad ogni stimolo. Scavando in quel posto, fu ritrovato sotto terrà questo Crocefisso che fu posto in venerazione.

Peccato che il cancello chiuso non ci permette di entrare, ci accontentiamo dello spettacolo dei dintorni, e di guardare da lontano questa perla.

Proseguiamo il nostro cammino, lentamente, ci guardiamo intorno, incrociamo un runner, un ragazzo solitario con un cane al guinzaglio, un vecchio in bici che ci fa un cenno, una macchina, una sola.

E all’una rientriamo verso il rumore della città.

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Papaveri al Parco Teramo

La copertina di Carofiglio imperava da tempo nella prima pagina di questo mio blog dormiente. La guardavo ogni volta che accedevo, poi ad un certo punto non sono entrata più.
Fino a oggi. In pausa pranzo mi è venuta nostalgia, di questo blog ma soprattutto dei miei racconti, che faccio a me stessa, a chi mi circonda, a pagine di quaderni sul comodino.
Ma non qui.
Così ho cambiato l’immagine in alto, ricordando un quadro sfumato che tanto mi aveva colpito, e ho ripreso le mie foto, e il desiderio di raccontare.

Da settembre ho iniziato a camminare regolarmente, con le amiche che vedo ogni giorno, e che fanno parte della quotidianità di famiglia. Per tanti mesi sul Naviglio, percorso conosciuto, tanta gente che corre, tanti ciclisti che sfrecciano e manifestano senza giri di parole quanto siano contrariati dai nostri passi troppo lenti per i loro ritmi. Scampanellate continue, soprattutto nelle strettoie obbligate della strada dritta, quelle vicino agli orti casalinghi.

Poi è arrivato aprile, Pasqua e Pasquetta, e un pomeriggio assolato abbiamo scoperto un altro percorso. Lentamente in quattro abbiamo camminato guardandoci intorno, tracciando una nuova via, assaporando il silenzio di vie deserte.

La fornace Curti, inizialmente nascosta, si è rivelata in tutto il suo splendore.

Davanti a noi un giardino verde tra le case, fiori viola e qualche viandante senza fretta, con un cane al guinzaglio. Abbiamo proseguito, attraversato un prato con un glicine appena accennato, all’improvviso una macchia di verde immensa, il parco Teramo, e da lontano quel campo dell’Aprile, in via Faenza, teatro delle ultime partite di quel mio primogenito tanto amato.

Il parco Teramo è perfetto nella sua semplicità. È silenzio, una ragazza che legge su una panchina, un gruppo di ragazzi che fanno ginnastica, un bar con piante coltivate a metà e birre in offerta, un palazzo che è un teatro di panni stesi.
Proseguiamo verso una delle direzioni possibili, zolle di terra si aprono davanti, il deserto di una campagna vera, a Milano.

Le mie all star affondano nella terra, il sole è caldo, guardo davanti a me, il Lambro inconfondibile davanti, oltre una cascina. A cinque minuti dai palazzi eppure lontano dal rumore e dal clacson delle macchine dei viali a pochi isolati, la Barona, Famagosta, vicine ma lontanissime.

Più oltre, una casa. Un vecchio mulino e un cortile a ferro di cavallo, un universo di esistenze che si intravedono in pochi minuti. Una vecchia signora alza lo sguardo e accenna un saluto, un bambino con un pallone rosso corre appena fuori, una ragazza spettinata si affaccia da una finestra viola, un’altra esce dal cancello con un sacchetto tra le mani. Una pellicola dai colori sbiaditi mi si para davanti, mi vergogno mentre spio le vite altrui e le studio da fuori come una ladra di storie. Indugio ancora un attimo e poi passo oltre.

Guardo i miei passi, un vecchio con un cane mi passa oltre e indica la via, le poche persone che incontro mi guardano, ci guardano, siamo nuovi arrivati nei loro percorsi abituali. Mi ritrovo in questa realtà poco battuta, nascosta, sconosciuta ai gruppi che si riversano nelle vie più chiare, con i tavolini invitanti all’aperto, teatro di nuove aperture e della primavera alle porte.
Tracciamo quello che da allora è il nostro nuovo percorso.

Così. Nel silenzio dei papaveri.

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Quando finisci un libro

Mi succede sempre quando finisco un libro di Carofiglio, quasi mai con gli altri autori che leggo, anche se il testo mi abbia appassionato davvero. Mi succede solo con lui, appunto, la nostalgia immediata della pagina finita.

Li ho letti tutti i suoi libri, quelli dell’Avvocato Guerrieri, quelli del maresciallo Fenoglio, quelli di altri personaggi più o meno familiari o conosciuti. Li ho amati tutti, Guerrieri di più.

E’ quel modo suo di scrivere, di raccontare la lentezza dei momenti, l’immobilità degli istanti, il passare del tempo che toglie e regala, necessariamente trasforma.

Quel modo solo suo di raccontare i luoghi, la Bari che troppo poco mi sono trovata a percorrere, che nelle sue pagine assume un fascino unico e molto personale. Il sapore adoro di mare, i vicoli antichi, le librerie aperte di notte, i ristoranti con le tovaglie di carta che regalano i piatti tipici migliori.

Il cibo è un racconto a latere nelle storie di Carofiglio, ma fondamentale. La bellezza delle serate lente, a parlare davanti a una bottiglia di vino e un pesce ben cucinato. Gli sguardi che raccontano con in mano l’ultimo bicchiere, l’ora tarda che induce a restare ma anche a fare una passeggiata per le vie del centro storico abbandonato.

Le sue storie sono il racconto di sé in cui ritrovarsi, frasi lunghe in cui si ricordano, a volte, i giorni andati, spesso con la nostalgia del tempo che passa e delle scelte già fatte e non più discutibili. Le digressioni sono la parte migliore, aiutano meglio a entrare nella storia, e a vedere i personaggi muoversi con abilità.

La macchina giuridica, magistralmente raccontata, è uno sfondo perfetto per vivere la storia, sempre diversa in ogni libro e mai scontata, così nel durante e così nella sua fine. E così in questo suo ultimo libro, iniziato e finito con l’urgenza dei minuti, dei secondi, degli istanti.

Il desiderio del profumo del mare mi accompagna in ogni momento.

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Lasciarli crescere

Eccomi. Dopo l’estate. Mi leggete Qui.

Su genitori crescono.

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Quell’estate con Andrea

Racconto per il concorso letterario provincia cronica pubblicato Qui

Se vi va … io intanto faccio una pausa qui.

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